Pubblichiamo tre liriche raccolte nella silloge poetica “Se non matura la spiga” di Angelo Lippo pubblicata da Il Raggio Verde nella collana ConTestiDiVersi con la prefazione di Dante Maffia che scrive “La vera poesia nasce soltanto se è frutto di un distillato autentico che arriva alle radici. Lippo le sue radici le sa utilizzare con quel lume di poesia che serve a riannodare se stesso ai padri e con quel tono giusto che evidenzia ormai con felicità ed esiti notevoli una storia lunga e sempre tesa a tenere desta la jonicità. Se si legge con attenzione ci si renderà conto che questo libro ha raggiunto risultati di sintesi sia nello stile e sia nei contenuti. Prenderne atto è doveroso per fare una storia veritiera, quando sarà, della poesia di tutto il Mezzogiorno”.
Mi chiedo spesso
Mi chiedo spesso dov’è finita
la città profumata di mare nei vicoli,
ora che pure lo stridio dei gabbiani
si spegne su colline di rifiuti.
Mi sogno spesso la tua veste
cristallina alla foce del Galeso,
ora che turiboli di acri fumi
irridono i visi rugosi delle case.
Ai grigi confini le parole
sfidano l’ignavia dei figli
che non osano la fatica acerba
dei campi assaliti dal favonio.
E la malinconia turba le vene
sdrucite alle soglie del tempo;
poi immemori del suono dei violini
scopriamo le veglie del passato.
Se non muore la spiga
oltre il turbinio dei fuochi,
oltre l’impenetrabile cortina
oltre le fenditure del cielo:
non dimenticate l’Amore
non adagiatevi nei sudari
delle ipocrisie sanguinanti;
realizzarsi insieme
è subliminale
per un reciproco intendersi,
interrompere il circolo vizioso
che sporca i cirri delle nuvole;
quando le bombe esplodono
tranciano ogni possibile verità,
sulla terra s’aprono spelonche
generando angosce e paure;
se non matura la spiga
non vedrai sorgere il sole
né la stretta di mano;
tra estasi e preghiera
costruisci la tua terra promessa:
Pace ti germogli dentro.
L’ostinato orgoglio della verità
Dopo quarant’anni d’inerzia
finalmente c’è chi scuote la mia gente
che non respira più
per paura di morire.
Il cielo plumbeo si è affrettato
a decimare le residue forze.
Eppure Dio non umilia mai
il suo popolo nelle fauci dell’oblio.
Tutti tacquero nell’ingordigia
del tintinnio del vitello d’oro,
senza accorgersi che greggi
morivano nei prati
o venivano abbattuti
dalla mano dell’inciviltà.
Forse erano uomini da piegare
al vento della discriminazione,
anche se nei loro cuori battevano
orgogliosi i segni di un tempo.
Così, dall’alto ci fu chi
pensò che bastava ignorarli.
Nessuno s’accorse
_ o peggio finse _
che un bambino
_troppi bambini_
potessero essere uccisi
dal fumo delle ciminiere.
A turno mentivano
e tarpavano le ali
lanciando il coltello del ricatto.
Ma un giorno
venne fuori il coraggio
l’ostinato orgoglio della verità
e si troncò il turpe mercato.
E fu la svolta della Storia.
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