Da Provenzano che inscena maldestramente un suicidio, a Riina che chiede una perizia psichiatrica e ai ragazzi della Banda della Magliana che sostenevano di parlare con i gatti e con i pesci o ancora chi dichiarava di sussurrare ai muli, avere attacchi di panico, soffrire di anoressia, sentire delle voci, vedere ombre sul muro, credere che le mani si potessero allungare, dire di essere Napoleone e pretendere di riavere il proprio esercito, scrivere lettere insensate ai parenti, distribuire santini ai carabinieri e urlare di essere stato unto dal Signore sono solo una serie delle pazzie messe in atto dai criminali che si sono appellati all’incapacità di intendere e di volere per sottrarsi a dure condanne.
L’escamotage che ha privato della dignità proprio coloro che stando al codice d’onore devono dimostrare di sapersi assumere le proprie responsabilità ha riempito solo di ridicolo i boss della mafia. Quando le sbarre del carcere sembrano una gabbia dalla quale è impossibile salvarsi allora i criminali non esitano a mettere in gioco anche la propria identità fingendo di essere psicopatici, nevrotici, schizofrenici, depressi, invalidi, paraplegici, cardiopatici. Sono disposti a fare di tutto anche ingoiare una forchetta o cucirsi le labbra con il filo di ferro, qualsiasi cosa a costo di non parlare e continuare a custodire le proprie verità. Non è un caso, infatti, che spesso i collaboratori di giustizia come Tommaso Buscetta e Leonardo Vitale, siano stati definiti pazzi facendo credere che le rivelazioni dei pentiti fossero frutto di fantasticherie quindi prive di fondatezza.
“Mafia da legare. Pazzi sanguinari, matti per convenienza, finte perizie, vere malattie: come Cosa Nostra usa la follia” è il primo libro che affronta una questione di grande interesse sociale definita dagli esperti “l’euristica della disponibilità”, una scorciatoia mentale garantita dall’entourage di medici, psicologi, criminologi, periti, sanitari, consulenti, che spesso hanno persino consigliato quali sintomi avrebbero dovuto dichiarare di avvertire i loro pazienti per ricorrere alle patologie più originali. Il testo edito da Sperling&Kupfer è scritto dallo psichiatra Corrado De Rosa e dalla giornalista Laura Galesi, con la prefazione curata da Pietro Grasso, neo-presidente della Camera, è un saggio di straordinaria importanza. Il volume, infatti, fa luce su un espediente tipico del mondo mafioso avviato negli anni ’70 e da allora sono stati in molti a ricorrere a questo tipo di sotterfugio.
Emblematico il caso del diciannovenne colto in flagrante, con la pistola ancora fumante che nel momento dell’arresto ha iniziato a piangere dicendo –“Voglio la mamma!”-. La scorciatoia della pazzia nonostante abbia portato dei successi nel senso che i picciotti sono riusciti a farsi trasferire nei manicomi e ritornare rapidamente in libertà non è ben vista dai mammasantissima siciliani che continuano a considerare lo stratagemma una perdita dei requisiti del comando. Sta di fatto che i tribunali italiani sono diventati dei teatri dove i mafiosi hanno sceneggiato delle performance da premi Oscar quasi quanto le pellicole “Terapia e pallottole” e “I Soprano” dove ricorre l’immagine del boss che ricorre all’aiuto di uno psicologo. La richiesta di sostegno in realtà è solo un mezzo per corrompere il professionista e aumentare il numero di camici sporchi dove medici compiacenti contribuiscono a truffare lo Stato.
Percorrendo il filo rosso della pazzia gli indagati guadagnano l’impunità ottenendo l’attenuazione dei rigori del carcere duro e facendosi trasferire nelle cliniche psichiatriche dove stando alle ricostruzioni ricavate dalle inchieste giudiziarie, dagli articoli e dai filmati i finti matti mafiosi vivono come se stessero in alberghi di lusso dove consumano pasti ricchi di prelibatezze, festeggiando e brindando alla follia!
Articolo pubblicato su Linkiesta nel 2013 a firma di Paola Bisconti
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